Luisa
Ho conosciuto la malattia e le risposte che verso di essa si possono avere, sia come medico che come madre, poiché uno dei miei quattro figli (F) è affetto da una malattia cronica molto invalidante.
Quando a mio figlio è stata diagnosticata la patologia di cui è affetto aveva 14 anni; quindi, era nel pieno dell’adolescenza e con tanti desideri per la sua vita. Con la diagnosi gli è stata tolta la possibilità di vivere tutto quello che umanamente avrebbe voluto: una famiglia, un lavoro soddisfacente, attività coinvolgenti, insomma una vita apparentemente normale. In lui è nata una grande ribellione verso Dio e la vita. Anche gli altri figli erano frastornati e subivano la situazione. Con uno sguardo umano vedevo da mamma il suo dolore che non potevo, umanamente parlando, alleviare, la sua rabbia, la paura dell’ignoto, dell’imprevedibile, da medico vivevo l’impotenza della medicina che non sempre può curare.
Ero davanti ad un bivio: chiudermi in un dolore sterile o distruttivo, immerso in rabbia e delusione, oppure accogliere con fede quanto era entrato in modo dirompente nella nostra tranquilla vita, domandandomi cosa Dio ci stesse mostrando attraverso tutto ciò, fiduciosa che Dio conduce la nostra vita con il Suo amore, portandoci ad un bene più grande di quanto il nostro umano pensiero possa comprendere. Da anni partecipavo alla vita della Chiesa di Gesù Cristo dell’Universo, dove la mia fede veniva (e viene) nutrita, dove la comunione con i fratelli mi invitava (e invita) sempre a camminare verso Dio senza ripiegarmi su me stessa; questo mi ha indirizzato verso la seconda possibilità. Non è stato per me un cammino “solitario” ma accompagnato dalla preghiera, dall’offerta e dalla comunione di tutti i membri della Chiesa di Gesù Cristo: tutti insieme abbiamo cercato di vivere con fede la malattia di F, ed in fretta ci siamo accorti che ci stava aiutando a trasformare il nostro pensiero, a camminare verso Dio e che Egli avrebbe operato cambiamenti in noi ed attorno a noi. Mio figlio, dopo le sue lotte con Dio profonde e più dolorose della malattia stessa, ha deciso di “arrendersi” a Lui. Da allora sono passati dieci anni; le lotte e le fatiche non sono mancate e non mancano, F non è fisicamente guarito ma ha ricevuto una guarigione interiore ed il dono più prezioso: un grande amore per Gesù, un continuo desiderio di vivere ogni momento con Lui, una grande fede e gioia interiore. Ha capito che la malattia è stata la sua salvezza, perché il suo corpo ammalato non gli ha permesso di attuare scelte sbagliate, ha compreso che la sua situazione e le sue fatiche offerte sono un dono insostituibile per lui e per altre anime, uno “spazio “in cui Dio si glorifica: in tutto ciò, in modo equilibrato e sano, ha trovato la pienezza. Come madre, non desidero altro. Anch’io ho imparato molto. Come madre ho capito che di fronte alla sofferenza di un figlio non ci si può sostituire a lui, non si può e non si deve togliergli il dolore, ma come Maria, si può stare con lui sotto la croce, offrendogli la sofferenza e permettendo a Dio di agire. Mi è stato insegnato ad avere pazienza, rispettando i tempi di un’anima e quelli di Dio: l’attesa vissuta con Dio genera anche quando sembra ai nostri occhi sterile. Infatti, se avessi forzato F nella sua scelta, se non avessi accettato di non vedere miglioramenti, sarebbe stata una violenza controproducente. Come medico ho compreso che non ci viene chiesto di guarire solo il corpo ma anche l’anima, che la vera guarigione è la trasformazione delle persone, che se la malattia non può essere curata fisicamente, non significa che siamo impotenti ma abbiamo un compito diverso: aiutare il malato a viverla secondo il pensiero di Dio.